L'arte moderna si colloca in apprente antitesi con la tradizione Neoclassica, per via del suo carattere di rottura col passato e voglia di rivoluzionare la concezione di produzione artistica. Non troviamo più né le statue di Canova né i dipinti di Hayez; tuttavia gli artisti del Novecento si pongono il problema di quale posizione assumere nei confronti di quel mondo ormai apparentemente abbandonato.
Il passaggio alla modernità nell’arte è indubbiamente un passo rivoluzionario: vengono meno gli antichi temi, come ad esempio i riferimenti alla mitologia, e le opere acquisiscono la funzione di veicolare un significato confinato all’opera stessa. Questa nuova tendenza ha le sue origini nella nascita del figurativismo e nello sviluppo della fotografia: inizia infatti a farsi strada la cultura dell’immagine immediata, cioè della capacità di ricavare il significato di un’opera basandosi esclusivamente su quello che si vede e senza far affidamento a riferimenti di altra natura, cosa che anticamente era necessaria per comprendere, ad esempio, una realizzazione artistica a sfondo mitologico.
Anche il distacco dai precedenti modelli veicola di per sé un significato: l’avvento delle nuove tecnologie e della società del consumo ha fatto venire l’esigenza di ”voltare pagina”. Nella consapevolezza collettiva, infatti, i vecchi modelli non potevano più rappresentare il mondo in preda ad un cambiamento così rapido e radicale; tra le opere moderne, infatti, si possono leggere tantissimi inni al progresso, per trasportare l’arte verso una nuova era.
Tuttavia, anche in quest’epoca, vengono fatti spesso dei riferimenti che, anche se non riprendono strettamente la materia classica, fanno trasparire la tradizione precedente. Come vedremo, ad esempio, nell’opera Doric IV, la composizione è inscrivibile in una colonna dorica e i colori, che ricordano dei frammenti, simboleggiano proprio una rottura che, però, come un uovo che si schiude, lascia spazio al nuovo, con una soluzione di continuità armonica.
Ettore Marrese IV A